Ci si addormenta stanchi del troppo scappare, del troppo combattere. Si abbassano le persiane per il buio che tutto protegge, ma anche nasconde e consente inganni. Si ammutoliscono telefoni, si insonorizzano stanze, ci si infila tappi nelle orecchie per non sentire suoni sguaiati e profezie di disastri. Ci si infila nel letto per nulla stanchi, ma come talpe decisi a lasciare il mondo. Si fanno mura di cuscini e piumoni che delimitano giardini di riparo quasi trincee nelle quali si sta, unici soildati sopravvissuti di una guerra che va e viene, finisce e ritorna, senza sosta.
Ci si sveglia coraggiosi ed impauriti quando si riconosce il proprio viso, quando il proprio viso di specchia in un mare di coraggio e di fiducia, nel vento che apre e fa sbattere imposte e porte, nel respiro che risveglia l'irregolare respiro di chi dorme un sonno ostinato ed ottuso. Ci si alza infreddoliti in una stanza che nel frattempo si è svuotata, dalla quale se ne sono andate le cose che sono solo se le guardi. Ci si siede piegati cercando il caldo, con il capo chino si resta a capire la chimica del caldo, quanta carta e quanta legna, quanto ossigeno e quante parti di sè per accendere un fuoco di bene che entrando in te non bruci la paura, ma sia più della paura e della stanchezza.
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