Lo vedi dunque che è molto tardi, da tempo ormai è comimciato l’anno ed io non ti ho scritto come sempre avevo fatto. Spero tu voglia scusarmi per questa mia assenza della quale neppure io ho ben chiara la ragione. Potrebbe essere che per qualche tempo non ho avuto gambe per poter procedere e andare così da poterti raccontare dove sono stata e cosa ho visto, ma neanche vedere è stato facile perché davanti agli occhi avevo un muro senza neanche le ombre della caverna: un muro con un’unica immagine; puoi ben capire che ti avrei raccontato sempre quello e il farlo già sarebbe stato noioso, inutile e un po’ pazzesco. Non ho avuto corpo e un posto dunque; penso se lo sia preso senza chiedere qualcuno che non so chi sia e comunque mi ha tolto il mio posto oltre a quello davanti al muro dove sono stata inchiodata a vedere qualcosa che non val la pena raccontare, mentre bisogna sia felice di come tutto quanto sia finito. Ero anche senza mani e dunque non potevo fare, oltre a non poter scrivere sui tasti del computer, neppure poteva abbattere alcun muro e aggrappandomi con le mani qui e là a casaccio trascinarmi via dal muro che di un unico fotogramma continuava ad essere lo schermo.
Ma soprattutto, quello che più di tutto mi ha stupita, è stato il dolore del cervello che non sapevo potesse dolere come qualsiasi altra parte del nostro corpo e ti giuro che l’ho sentito gonfiarsi fino quasi a scoppiare dentro la scatola cranica e qualche volta sgonfiarsi come un dolce mal riuscito e sedersi in un angolo del cranio così che stranamente da una parte il capo mi pesava di più facendomi perdere l’equilibrio e quindi cadevo, cadevo. Con il viso nel fango col tempo la schiena si è curvata ed è diventata come il carapace di un crostaceo. Soffocavo nel fango e solo la schiena dura come un callo, come un dolore antico, mi ha aiutato a resistere e resistere, fintanto che grazie a qualcosa ma non so di preciso cosa, forse la fede nel buono e nel nuovo o forse la dignità, ho alzato il viso cieco dal fango e ho avuto insieme pietà e vergogna di me. Devi poi sapere che senza gambe e mani e tutto il resto non mi è rimasto altro che lamentarmi in continuazione, quasi me ne vergogno, e solo il pudore che ho di qualsiasi mio sentimento mi ha impedito di scriverti una lagna continua, un vittimismo che già da solo di abbatte l’animo ancora di più.
Mi chiederai come è possibile mi sia successo tutto questo nel solo arco di un anno e se non me lo chiedi, faresti bene a farlo così posso raccomandarti di alcune cose affinchè non succeda la stessa anche a te. Voglio dunque avvertirti di non aver paura del nuovo e di non perdere mai la fede nel buono, di fare attenzione che è la paura a far perdere le gambe ed è la pigrizia a far vedere un muro, è l’abituarsi che fa cadere le mani ed è la banalità a rincantucciare il cervello. Questo fa venire una schiena dura, ma può farla diventare anche il resistere e il difendere come un soldato di truppa in questa guerra.
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