Stanotte ho dormito poco, come sempre. Ho fatto i miei conti al portatile, scritto qualche riga dacchè mi sono ripromessa questa specie di diario, per il tempo che andremo in giro per l’Italia in paesetti simili a questi e a volte in grande città. Ho amici dappertutto, fossi a Bologna saprei dove rivolgermi e saprei cosa fare; ma sono qui, due giorni ancora. Ho guardato fuori dalla finestra della mia camera d’albergo: vedo la sola strada principale, nessuno per strada e nell’angolo destro una fetta di campi coltivati a granturco. E’ una notte di caldo afoso, senza un filo di vento. Non ho neppure la mia auto Non siamo lontani dal mare e se l’avessi avuta almeno avrei potuto andare a farci due passi. Invece rimango in camera ad ammazzare zanzare come elicotteri che trapassano pure le zanzariere; allora ho spento la luce perché non le richiamasse e la camera è rimasta illuminata dal chiarore della luna e dal lampada sul comodino di questo misero albergo, che ho scelto sia perché non ce ne sono altri e sia perché così facciamo quadrare le spese. Mi sono svestita e ho fatto un po’ d’ordine, domani devo cercare una lavanderia, perché cominciano a mancarmi i cambi, devo chiedere pure a Livia se ne ha bisogno; in questo alberghetto ovviamente non c’è il servizio. Ho preso un libro e mi sono messa a leggere sul letto le cui lenzuola in poco tempo ho inzuppato di sudore, ho avvicinato la sola poltrona alla lampada, ma sulla similpelle che la riviste mi si è appiccicato il sedere e allora ho strattonato le lenzuola coprendola come si fa quando si lascia i mobili in una casa vuota per molto tempo. Davanti avevo l’anta a specchio dell’armadio e allora mi sono vista:i piedi enormi in primo piano, lontani lontani, le gambe bianche, i peli del pube, la prima delle pance che arrotondano il mio addome: dovrei mettermi a dieta, ma comunque se non la smetto di bere e faccio un po’ di sport non servirà a nulla; il seno che si posa sulla rotondità più piccola della stomaco, la gastrite me lo gonfia ancora di più, le spalle curve, va bè è una posizione informale la mia, rilassata, non mi vede alcuno all’infuori di me nello specchio un po’ impolverato nell’armadio. Mi alzo in piedi, è già diverso. Raddrizzo le spalle e si sollevano di un po’ le tette, la pancia è una sola. Mi metto di profilo, si vede la curva dell’artrosi cervicale, mi giro ancora, da davanti è meglio. Ho immaginato i suoi fianchi magri, il bacino molto più ristretto del mio, i peli biondi del pube, non è proprio magra ma non è strabordante come me, forse lo diventerà ma è ancora troppo giovane e comunque la costituzione è diversa, la sua pelle è di un rosa dorato, non so come descriverlo bene. Mi sono messa di traverso, sul seno e sul ventre, le braccia come se vi premesse il peso del suo corpo, poi ho fatto scivolare la mano sui peli, e siccome è me stessa so dove andare a toccare perché se non lo sanno fare è un supplizio. Mi sono lasciata cadere sul letto. Va su e giù come l’archetto del suo violino Mi guarda, gli si imperla la fronte, le pelli si appiccicano. Adesso tocca a me. Nelle mie notti c’è poca alternanza, ma con lei deve essere diverso, una volta ogni tanto almeno non starebbe poi male. Da cosa lo so? Ah non lo so, lo immagino con una certa fondatezza, lo immagino da come ragiona, da come parla, da come si muove.
Sì sì Livia.
Peggio di prima. Adesso poi mi ci vuole una doccia per lavare tutto, tutto oltre ogni misura alla quale posso arrivare con un’altra.
Getto uno sguardo triste e stanco alla riga di muffa sotto al silicone nella doccia, mentre attendo l’acqua diventi calda. Sento un rumore nella stanza vicino e capisco che è ancora sveglia. La mia perfezionista. Chissà cosa fa? Starà mica male? Il pesce fritto della cena sembrava fritto nell’olio di macchina. Me l’hanno mica avvelenata ‘sti maledetti contadini annoiati, ma poi mi sono ricordata che lei ha mangiato degli spaghetti..
Ho il doppio dei tuoi anni, io, ed una tosse da troppe sigarette e qualche volta alcool, ma tu non lo sai ed è giusto così. Ho il doppio del tuo peso e la metà della della tua statura. Ahh taciamo della bellezza, non ho capelli biondi io, ma grigi che copro con una tintura ogni tre settimane e a volte neanche lo faccio, lascio si veda la ricrescita, ma sì chissenefrega!. Ho comunissimi occhi marroni, io, quasi neri come il buio dei locali dove basta essere disponibili e io lo sono come gli altri là dentro, è solo questione di un attimo; ma di un attimo senza Brahms e te, e questa basilica e i tuoi libri e il tuo sorriso, un attimo di eterno.
Il protocollo Livia è sempre lo stesso, ogni sera, non tutte però perché lo sai ho il doppio dei tuoi anni e mi si stancano le ossa, mi si stanca l’anima e soprattutto mi stanco forse nauseo di me. Le stesse parole, un blasfemo rosario, neppure lo voglio pensare qui dentro e davanti a te. E dunque torno a casa, nella mia casa fredda, neppure un gatto ho ad aspettarmi, accendo le luci per ritrovarti e ti guardo nella foto di Parigi, quella sopra alla mia scrivania, tu mi vuoi bene, non come me e questo tu non lo sai né lo saprai mai, e come tu possa volermene non mi sfugge ma è la grande opera della mia vita.
Mentre mi asciugo c’è il silenzio, forse si è messa a letto e si è addormentata, speriamo dorma bene. Mi ci metto pure io a letto, cerco di non far rumore. Mi addormento con le punte dei capezzoli dei suoi piccoli seni che mi premono sulla schiena. Buonanotte amore mio infinito.
2 commenti:
buona sera mia reggina ritorno a leggerti sempre con infinita gioia... e lasciare commenti u queste parole incredibili sembra profano...
un bacio
follia
ciao folli e grazie della visita, ancora complimenti per i tuoi successi.
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